Sulla via della seta l’Italia, che da quell’accordo con la Cina ha perso soldi, ci ha messo una pietra su. La premier oggi a Pechino rilancia una nuova era di relazioni con la tigre asiatica

Al via la visita a Pechino della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, accolta questa mattina con il picchetto d’onore nella Grande Sala del Popolo dal suo omologo Li Qiang. Mentre domani incontrerà il presidente cinese Xi Jinping con il quale tenterà di ricucire lo strappo provocato dalla decisione del governo di uscire dall’accordo sulla Via della Seta siglato dall’esecutivo Conte nel 2019.

“Sono molto contenta di essere qui per il primo viaggio ufficiale di questo governo, che è stato anticipato da diversi incontri di alto livello a dimostrazione della volontà di iniziare una fase nuova, di rilanciare la nostra cooperazione bilaterale nell’anno in cui ricorre il ventesimo anniversario della nostra partnership strategica globale”, ha detto la Meloni prima che iniziassero i colloqui con il premier Li,  annunciando la firma di “un piano triennale di azione per sperimentare nuove forme di cooperazione” e rilanciare i rapporti tra i due paesi, tanto più che quest’anno, ha tenuto a ricordare,  ricorre il settecentesimo anniversario della morte di “Marco Polo, uno tra gli italiani più grandi e forse anche di uno degli uomini che sono stati più importanti perché Oriente e Occidente si incontrassero e perché ci si potesse reciprocamente conoscere e reciprocamente comprendere”.

“Sono molto contenta – ha aggiunto poi la premier intervenendo al Business Forum Italia – Cina nel corso del quale sono state firmate 6 intese in vari campi, dall’industria alla sicurezza alimentare all’istruzione.  – di vedere riuniti rappresentanti di autorevoli realtà italiane e cinesi. Questa ampia partecipazione testimonia l’intenzione di rafforzare il partenariato Italia-Cina e ragionare sui punti di forza e debolezza. L’obiettivo comune è che le nostre relazioni commerciali siano sempre più eque e vantaggiose per tutti”. “Il Memorandum di collaborazione industriale che abbiamo sottoscritto è un passo significativo” , ha anche spiegato, precisando che “comprende ora settori industriali strategici come la mobilità elettrica e le rinnovabili “. E se l’Italia investe molto in Cina, la Cina non fa altrettanto, ha osservato, riferendo un dato che parla da solo: gli investimenti cinesi in Italia sono oggi circa un terzo di quelli italiani in Cina. “È un divario – ha detto-  che mi piacerebbe fosse colmato nel modo giusto. La nostra nazione resta desiderosa di cooperare, ma è fondamentale che i nostri partner si dimostrino genuinamente cooperativi giocando secondo le regole, per assicurare che tutte le aziende possano operare sui mercati internazionali in condizioni di parità. Perché se vogliamo un mercato libero, quel mercato deve essere anche equo”.

L’interscambio tra Italia e Cina, ha evidenziato la premier “è cresciuto e si è assestato nel 2023 a circa 67 miliardi di euro con un ampio potenziale, credo, ancora inespresso. Non possiamo però nascondere il problema del forte squilibrio con un importante deficit per l’Italia. Si tratta di una questione di grande rilevanza che dobbiamo affrontare insieme e portare verso un progressivo bilanciamento. Su questo il governo italiano è pronto a lavorare insieme alle autorità cinesi e al settore privato. Sono convinta che il dialogo su questo tema, sul miglioramento delle condizioni di accesso al mercato cinese e sulla tutela della proprietà intellettuale, possa produrre effetti ben più benefici di quelli che immaginiamo”.

Poi la Meloni ha fatto riferimento alla difficile situazione internazionale. “Penso all’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, alla crisi in Medio Oriente, alle tensioni nel Mar Rosso, all’instabilità crescente in Africa Sono crisi  che si ripercuotono sulla sicurezza e l’integrazione economica globale, rimettendo in discussione l’ordine internazionale basato sulle regole”. “Queste crisi, insieme allo shock della pandemia – ha rimarcato-  ci pongono dinanzi agli effetti collaterali della globalizzazione e ai rischi legati alla scelta di avere catene di approvvigionamento globali. Se è vero che l’economia mondiale molto ha beneficiato dalla liberalizzazione dei commerci, è vero anche che i dividendi di questo processo – ha concluso – non si sono sempre distribuiti in maniera equilibrata, sia tra le nazioni sia tra i diversi fattori di produzione all’interno di ciascuna di esse”.

Tra gli altri temi chiave affrontati dalla premier primo fra tutti la necessità di una collaborazione costruttiva e trasparente sullo sviluppo delle tecnologie legate all’Intelligenza Artificiale, “che è destinata a incidere profondamente sui nostri tessuti sociali, economici e a cambiare radicalmente interi segmenti produttivi. So  -ha proseguito- che anche in Cina è in corso un vivace dibattito su quelle che sono state definite ‘nuove forze produttive’, alludendo, immagino, proprio all’impatto che l’intelligenza artificiale può avere sulla produttività, così come, aggiungo, sulla creazione e sulla distruzione di posti di lavoro. Ognuno di noi sta sviluppando un diverso approccio, ma io credo che al di là delle diverse sensibilità sia fondamentale sviluppare un ragionamento comune, proprio alla luce delle ricadute che l’IA avrà sul mondo del lavoro, anche per quelle professioni a più elevata specializzazione”.

La missione di Meloni si concluderà mercoledì a Shanghai, con il colloquio con il segretario del comitato municipale di Shanghai del Partito Comunista Cinese, Chen Jining. Una missione delicata sia da un punto di vista degli equilibri geopolitici che sul fronte delle relazioni bilaterali, dopo appunto l’uscita italiana dalla Via della Seta. Un accordo che non aveva comunque portato al nostro paese i benefici sperati. Anzi, nel 2022 il deficit commerciale dell’Italia verso la Cina aveva atto segnare un record assoluto (-47 miliardi di dollari), mentre gli investimenti della Cina in Italia si sono fermati ben prima che Roma cominciasse a diffidarne e a “stopparli” attivamente. Anche sul fronte delle relazioni e degli scambi culturali, il MoU (memorandun of Understanding) non ha avuto conseguenze positive. Effetti ben maggiori, ma negativi, si sono visti con la pandemia, che ha fatto crollare le collaborazioni tra le università italiane e quelle cinesi. Con la fine delle misure restrittive, queste collaborazioni non hanno conosciuto alcuna ripresa. L’invasione russa dell’Ucraina, infine, ha in qualche modo contribuito a mettere in in luce tutti i rischi strategici che può comportare dipendere dipendere da un gigante asiatico.

 

 

 

 

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