A fronte dell’emergenza siccità e della necessità di realizzare infrastrutture che tutelino la risorsa idrica il valore degli investimenti in Italia è di gran lunga inferiore rispetto a quello realizzato nel resto d’Europa e con notevoli differenze tra le diverse aree italiane

di Corinna Pindaro

In Italia l’emergenza idrica è un problema, è da tempo che si ribadisce la necessità di realizzare infrastrutture moderne per garantire la tutela dell’ acqua. L’esigenza si manifesta con maggiore intensità se si considera che su scala nazionale in Italia la risorsa idrica ha subito un calo del 20% rispetto l periodo 1921-1950 attestandosi a 133 miliardi di metri cubi. E’ chiaro che il calo sia imputabile anche ai cambiamenti climatici e in particolare alla siccità e all’aumento delle temperature.  Ad ogni modo la situazione di per sè non florida risulta aggravata dalle condizioni in cui si trova la rete italiana che registra, ad oggi, i tassi di dispersione tra i più alti in Europa.

Non si può, poi, non tenere in considerazione il fatto che il valore degli investimenti pro capite per la tutela della risorsa idrica, sebbene siano stati in crescita negli ultimi anni grazie all’avvio della regolazione dell’Arera dal 2012, risultano comunque notevolmente inferiori a quelli realizzati negli altri Paesi europei peraltro con differenze sostanziali tra le diverse aree italiane. Il divario appare in tutta la sua evidenza se si scorrono i dati a livello geografico, con gli investimenti realizzati dai gestori industriali nel Centro-Italia che si attestano sui 75 euro l’anno per abitante, seguiti dal Nord Est (56 euro) e dal Nord Ovest (53 euro). Mentre il Sud arranca con valori pari a 32 euro l’anno per abitante. E, ad ogni modo, gli investimenti si rivelano del tutto insufficienti se si considera il fabbisogno di 1,3 miliardi per raggiungere il livello Ue.

A tal proposito il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini,  da tempo invoca una riforma delle leggi che regolano il servizio idrico. Il quadro legislativo fa riferimento alla legge Galli, di trent’anni fa, mentre sarebbe necessario rivedere le norme e ristrutturare il settore, definire le direttrici “entro cui si dovrà muovere per elevare il livello degli investimenti, aumentare la resilienza delle reti e cogliere le opportunità della transizione ecologica e digitale”. Solo così si potrà tentare di colmare il gap che ci separa dal resto dell’Europa e che, non da ultimo,  riguarda anche la tariffa idrica, tra le più basse nel Vecchio Continente: 2,11 euro per metro cubo a fronte di una media Ue di 3,5 euro. La metà di quella francese (4,1 euro) e il 40% della tariffa tedesca (5 euro).

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