Al via un Governo spartiacque con un nucleo di tecnici di grande solidità e la parte migliore della politica attuale chiamata alle proprie responsabilità. Un’occasione irripetibile per il Paese

di Guido Talarico

Vorrei partire dalla fine e dalle prospettive. La fine è che per la nostra Nazione questa crisi si è conclusa bene. Avevamo un governo traballante e largamente inefficace, oggi ne abbiamo uno decisamente migliore, molto più stabile, e con la parte lasciata ai tecnici che sfiora punte di eccellenza. Le prospettive poi inducono a ben sperare. La parte economica è in mano ad un vero “dream team”: Mario Draghi alla presidenza, Daniele Franco al MEF, Roberto Cingolani alla transizione ecologica, Vittorio Colao all’innovazione tecnologica e Roberto Garofoli Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio rappresentano un gruppo di lavoro coeso e di rara qualità. Lo stesso Giorgietti è persona capace e per di più, tra i politici, uno dei più vicini alle logiche di sviluppo del neopresidente del consiglio. Ma le buone notizie non finiscono qui: con Marta Cartabia alla giustizia c’è da chiedersi “se non ora quando”. Solo un grande magistrato di peso, indipendente e con un mandato a termine, in questo paese può avere la forza e l’ardire di ridimensionare certi squilibri imposti dalla magistratura e di innovare i cardini almeno della giustizia civile, ormai vicini alla fatiscenza. E così Enrico Giovannini, come i confermati Lamorgese e Guerini, sembrano tecnici in condizioni di fare ottimamente il proprio lavoro.

Poi c’è il resto, la parte politica che in molti si aspettavano più compressa. E qui conviene ricordare le premesse, il punto dal quale partivamo. Per esempio, rammentando che la composizione del parlamento a tutt’oggi, nonostante le evidenti difficoltà interne e le perdite di consenso, vede il Movimento 5 Stelle partito di maggioranza relativa. Oppure tenendo a mente la debolezza delle leadership dei vari partiti, a cominciare da quelle di Zingaretti e Salvini, che, con Conte, sono i grandi esclusi. Ecco, per giudicare bene il Governo Draghi non dobbiamo dimenticare che siamo partiti da una situazione drammatica dei partiti e della politica. Se partiamo da qui, senza dimenticare a quali giravolte siamo stati costretti ad assistere negli ultimi tre anni e senza dimenticare i Toninelli e i Bonafede di turno che ci sono passati sotto, ecco se non dimentichiamo la storia recente della nostra politica non potremo non concludere che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto un vero miracolo.

Certo al meglio non c’è mai fine. Ma quelli che già criticano Mattarella e Draghi per avere lasciato troppo spazio ai partiti (15 posti su 23) vuol dire che non hanno la lucidità per capire che anche in termini politici i due presidenti hanno fatto un piccolo capolavoro. Da ogni partito alla fine hanno preso le personalità più ragionevoli, quelle più solide e meglio disposte verso progetti di rilancio orientati ad una chiara prospettiva europeista. Così, nei 5 Stelle si sono salvati Di Maio e Patuanelli e sono stati sacrificati Bonafede, Crimi e lo stesso Conte. Nella Lega è stato preferito Giorgietti a Salvini, del Pd hanno tenuto fuori Zingaretti e Gualtieri e salvato Orlando, Guerini e Franceschini. Insomma, i due Presidenti hanno fatto scelte divisive che mettono in luce le difficoltà dei partiti, con i buoni al governo e quelli meno consistenti rimandati a casa. Ma è proprio da qui che anche nel campo politico potrebbe rinascere una nuova fase, l’era in cui si potrà ridare ai partiti l’orgoglio e la credibilità perduta. Quel che resterà del Movimento 5 Stelle, della Lega, ma anche del Pd, di Italia Viva e della stessa Forza Italia dopo il Governo Draghi non potrà più essere come prima. Chi li guiderà, se ne sarà capace, alle prossime politiche avrà la possibilità di percorrere e conquistare nuovi spazi.

Nell’epoca liquida che viviamo le ideologie contano sempre di meno. Conta la capacità di gestire bene, di produrre valore per la collettività, di favorire crescita e sviluppo, di dare risposte alle esigenze della gente. Oggi è come se fossimo al punto zero. Draghi, con questo suo governo a trazione nordista (un segnale importate dato al mondo delle imprese) gestirà la ripartenza della nave Italia dopo la pandemia: farà le riforme strutturali, traccerà linee e procedure di spesa per il Recovery Plan, affronterà l’emergenza sanitaria con più efficacia. Ma poi lascerà. Massimo tra due anni restituirà il paese ai partiti. Ed è lì che dovranno farsi trovare pronti. Zingaretti, Salvini, Grillo anche Conte allora potranno dimostrare di che pasta sono fatti. Il voto che arriverà al massimo nel 2023 definirà nuovi scenari e nuovi protagonisti, magari che dureranno nel tempo, non fosse altro perché arriveranno quando gli effetti della ripresa dovrebbero già avere riprodotto un clima di fiducia e di crescita.

Insomma, questo di Draghi è a tutti gli effetti un governo storico, un esecutivo spartiacque. Nasce in un momento drammatico ed è per questo che è un esecutivo di emergenza nazionale, dove tutti hanno ascoltato il richiamo del Capo dello Stato a muoversi nell’interesse superiore della Patria e dove tutti hanno fatto un sacrificio. Ora siamo dunque alla prova dei fatti. Al redde rationem, come si dice. Nonostante le difficoltà che ci saranno, questo scenario tuttavia nel suo complesso non può che rendere fiduciosi: abbiamo i soldi dell’Europa, un Presidente del Consiglio capace e competente, un sistema dei partiti costretto a ritrovare con orgoglio la propria dignità.

Certo le tensioni ci saranno perché è evidente i partiti da subito scalceranno per ritrovare spazio e credibilità. I 5 Stelle sono sull’orlo di una spaccatura: hanno governato con tutto l’arco costituzionale e ora hanno all’uscio il solito Di Battista “gruppettaro” che prima chiede il voto on-line agli scritti su Draghi e poi, a scrutinio fatto e consultazione persa, dice che se ne va dal Movimento, un po’ come fanno i bambini quando perdono e lasciano il campo portandosi via il pallone.  Il Pd dal canto suo, prima si è appiattito su Conte, per massacrare Renzi, e poi è sparito dai giochi, portando a casa tre ministeri, esattamente come  Forza Italia che però ha metà dei suoi voti. Oppure Salvini che è passato da sovranista ad europeista nel giro di ore: una conversione ad “U” mai vista in precedenza. O anche Forza Italia che non può che gridare al miracolo per il ritorno in pista ma che alla fine, chiamata ad esprimere ministri, ha mandato in campo tre attori della solita compagnia di giro (Brunetta, Gelmini, Carfagna). Insomma, il sistema dei partiti è veramente ai minimi. E allora eccola la grande chance. La pandemia e la crisi hanno creato tutte le condizioni per un momento catartico generale: quello del sistema paese, affidato a Draghi e Mattarella, e quello dei partiti, affidato alle singole segreterie. Vedremo chi saprà disputare la partita migliore e chi riuscirà a fare bene la propria parte.

Proprio oggi mi è arrivato in anteprima l’ultimo saggio di Roger Abravanel, brillante uomo di azienda, ma anche economista e saggista acuto. Si intitola “Aristocrazia 2.0” (edito da Solferino). Non ho fatto in tempo a leggerlo, ma, nella seconda di copertina, ho letto questa introduzione: “Aristocrazia significa in origine <governo dei migliori> ma nei secoli è passata ad indicare il potere dei privilegiati per nascita. L’Italia di oggi soffre di una cronica mancanza di ricambio meritocratico nella classe dirigente, imprenditoriale, politica, che la sta condannando al declino. Aristocrazia 2.0 è il progetto possibile di una nuova élite del talento e della competenza che può portare finalmente il nostro Paese fuori dalla palude di impoverimento e decadenza di cui si trova da quarant’anni a questa parte, resa ancora più profonda dalla pandemia di Covid”.

Abravanel, l’ho detto, è un uomo fuori da comune. Ma non gli conoscevo doti vaticinanti. Eppure, il suo libro arriva con tempismo fenomenale e va dritto al cuore del problema. Le parole contano ma non bisogna avere paura di esse. Da decenni élite è sinonimo di privilegio, quindi percepita negativamente. Ma se questa parola l’abbiniamo al talento, al merito, alle capacità allora cambia tutto. Sergio Mattarella e Mario Draghi, aiutati da Matteo Renzi, che continua a fare bene per il paese senza che gliene torni in tasca alcunché, in questa fase rappresentano il meglio dell’aristocrazia del merito sulla quale dovrebbe rinascere l’Italia. Ci auguriamo che altri seguano questo esempio, che nessuno voglia buttare alle ortiche un’occasione irripetibile per tutti, anche per i partiti. Ci auguriamo che l’aristocrazia del merito prenda il sopravvento.

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