La rinuncia alla corsa del presidente non è stata tempestiva e potrebbe non risollevare le sorti del partito.  Quanto lendorsment alla sua numero due non trova tutti i democratici d’accordo. E la via alla Convention di Chicago si prospetta tutta in salita per Kamala

A volte fare un passo indietro è necessario. Peccato che il presidente Joe Biden ci abbia impiegato tanto. L’annuncio del suo ritiro dalla corsa alla Casa Bianca, atteso e auspicato dal suo partito, il partito democratico, e anche da amici di vecchia data, come Thomas Friedman, una delle firme più prestigiose del New York Times, è arrivato solo ieri. E non è stato un gran rifiuto di quelli dignitosi che ispirano rispetto, ma piuttosto una rinuncia forzata, strappata con le tenaglie a una persona così attaccata al potere da non curarsi di mostrare pubblicamente la propria insofferenza nel doverlo mollare. E quel che è peggio è che per chi ne erediterà il testimone ­-il presidente lo ha ufficialmente ceduto a Kamala Harris, la sua vice- potrebbe essere ormai troppo tardi per recuperare i punti perduti, tanti, nel gradimento dell’elettorato, e impedire il ritorno alla Casa Bianca al suo avversario Donald Trump, baciato dalla fortuna -il proiettile del suo attentatore il 13 luglio gli ha solo sfiorato l’orecchio graziadolo da un punto di vista mediatico. E baciato dalla a Corte Suprema, che gli ha concesso una parziale immunità, di fatto bloccando il processo penale per l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 202l da parte dei suoi sostenitori.

Invece di attendere che Trump fosse trasformato in martire della democrazia,  il moltiplicarsi degli appelli dem e persino il covid, che gli ha inferto il colpo definitivo, Biden avrebbe dovuto lasciare la gara all’indomani stesso del duello in tv di fine giugno con il suo sfidante, dove era apparso stanco, poco lucido, invecchiato. O forse addirittura avrebbe fatto meglio a non presentarsi proprio fin dall’inizio.

Adesso la strada per i democratici è tutta in salita. E se molti sono sollevati dalla decisione di Biden, altri non nascondono forti preoccupazioni e appaiono indecisi sul sostegno da dare alla Harris, prima donna nera ad aspirare alla massima carica della nazione. E’ vero che lei è già vicpresidente, ma è pur vero che l’amministrazione uscente l’ha sempre tenuta in disparte e nell’ombra. Da solo insomma l’endorsment di Biden non basta a Kamala, che dovrà scegliersi anche un numero due, e i giochi, non essendoci precedenti storici, restano aperti almeno fino al 19 agosto, data in cui è fissata la Convention nazionale del partito, la tre giorni nel corso della quale  i 4600 delegati, selezionati a livello dei singoli stati, potrebbero confermare, ma anche non, la candidatura della Harris. Biden ha appoggiato la sua vice e può formulare raccomandazioni ai rappresentanti del partito, ma non controllarne la decisione finale. La vicepresidente ha ricevuto subito una valanga di consensi da dem di spicco ma ci sono anche molti alti ranghi del partito, tra cui Barack Obama e Nancy Pelosi, che sembrerebbero più favorevoli ad affidare la selezione a un processo competitivo. Non ci sono casi del passato ai quali rifarsi e le regole non sono così chiare a riguardo, ma le vie, secondo gli analisti, potrebbero essere due fondamentalmente: unificare il consenso intorno alla Harris, e così tutti i fondi per la campagna; oppure formulare una rosa di nomi e affidare la scelta ai delegati del partito.

Una situazione non proprio semplice, che continua ad avvantaggiare Donald Trump, che sente già di avere la vittoria in tasca, ma non ha perso tempo ad arricchire la sua squadra di gente al quale ha affidato il compito preciso di affondare in ogni modo la Harris, che comunque è un bersaglio meno fragile di quanto lo fosse Biden, anche se dovrà sicuramente lottare duramente e in fretta , per convincere gli scettici del suo partito che è lei la migliore opzione possibile. Subito dopo l’annuncio di Biden, Kamala, ha riferito la Cnn, avrebbe trascorso ben dieci ore al telefono a parlare con i più alti esponenti della leadership democratica, oltre 100 leader di partito, membri del Congresso, governatori, dirigenti sindacali e leader di organizzazioni per i diritti civili e di advocacy per capire se ci sia o meno consenso intorno alla sua candidatura. Sono ore frenetiche e c’è già chi è pronto a scommettere che gli anti-Biden avrebbero già fatto la loro scelta. A quanto apprende Associated Medias, il nome più forte che circola in questo momento è quello di Joe Manchin III, senatore ed ex governatore del West Virginia, di origini italiane.

 

 

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