Le rilevazioni demoscopiche descrivono una elettorato in scarso movimento. Quello che permane è la forte disaffezione al voto, causata da un elettorato in larga parte privo dei minimi requisiti culturali

di Guido Talarico

Con i sondaggisti che quasi unanimemente pronosticano un risultato elettorale delle prossime europee dell’8 e 9 giugno senza grandi sorprese, con variazioni positive o negative spesso nell’ordine dei decimali, ogni analisi politica sul possibile esito del voto diventa un esercizio di stile. Tuttavia vi sono degli elementi generali di tipo statistico sui quali vale la pena soffermarsi, anche perché forse indicano il vero problema che la nostra democrazia, come quasi tutte quelle occidentali, dovrebbe affrontare con una certa determinazione. Vediamo.

L’astensionismo: un fenomeno in crescita

Un dato certo è la disaffezione al voto. La costante crescita di coloro che non vanno a votare è motivo di preoccupazione per chiunque abbia un minimo senso delle istituzioni. Come è del tutto evidente, infatti, la mancanza di elettori mina la legittimità del sistema rappresentativo. Alle ultime elezioni politiche (2022), la coalizione vincente ha ottenuto il consenso di poco più di un elettore su quattro, mentre il “partito del non voto” ha rappresentato la scelta del 40% degli elettori. Secondo un recente sondaggio di SWG, nell’ultimo anno è stato inoltre registrato un aumento dell’8% di coloro che si dichiarano disinteressati alla politica, ritenuta incapace di guidare il Paese, indipendentemente da chi sia al governo.

La Costituzione italiana definisce il voto come un “dovere civico”, una formulazione che riflette il desiderio dei costituenti di incentivare la partecipazione democratica. Tuttavia, la legislazione non impone un obbligo giuridico al voto, lasciando spazio alla libera scelta dei cittadini. Storicamente, il Testo Unico del 1957 prevedeva sanzioni per chi non votava, ma tali misure sono state raramente applicate e infine abolite nel 1993.

La Corte Costituzionale ha affrontato la questione nel 2005, affermando che l’astensione può essere considerata una forma di esercizio del diritto di voto, ma con un significato esclusivamente socio-politico. Dalle elezioni del 1979, l’affluenza è in costante calo, passando dal 93,4% del 1976 al 63,8% del 2022. Negli ultimi quindici anni, la riduzione dell’affluenza è stata particolarmente drastica, con una diminuzione di quasi 17 punti percentuali tra il 2008 e il 2022. Il fenomeno del “partito del non voto” è divenuto rilevante a partire dal 2013, superando costantemente le principali liste elettorali. Questo gruppo comprende gli astenuti e coloro che votano scheda bianca, escludendo le schede nulle. Nel 2022, come accennavamo, oltre 17 milioni di elettori hanno scelto di non votare, una cifra superiore ai 12,3 milioni che hanno votato per le coalizioni di centro-destra.

Ma perché i cittadini non vanno a votare? Le ragioni possono essere varie. Le principali rimangono due: disinteresse e protesta politica. Le schede bianche, spesso interpretate come un voto di protesta, hanno seguito un trend diverso dall’astensione, con un picco nel 2001 e un drastico calo dal 2006 in poi. Nel 2022, le schede bianche rappresentano solo l’1,1% del corpo elettorale. Vi è poi una terza e forse ben più grave ragione che porta all’astensionismo: l’ignoranza. Anche questo aspetto può essere meglio compreso grazie alla statistica.

La situazione dell’alfabetizzazione in Italia

L’alfabetizzazione di un popolo è certamente un elemento che impatta sulla scelta di votare o meno. Per votare devi capire cosa sia la politica e cosa dicono i politici. Se hai difficoltà a capire è evidente che andrai meno facilmente in un seggio. Vediamo dunque come stiamo messi in Italia in termini di alfabetizzazione.

Intanto analizziamo i criteri. Il programma OCSE PISA (Programme for International Student Assessment) identifica sei livelli principali di alfabetizzazione: 1) Competenza alfabetica molto modesta: al limite dell’analfabetismo funzionale grave. 2) Competenze di base limitate: capacità di riconoscere l’idea principale in un testo semplice. 3) Competenze sufficienti: capacità di analizzare testi familiari. 4) Buone competenze: capacità di analizzare la maggior parte dei testi. 5) Capacità riflessive ed interpretative: capacità di analizzare quasi tutti i testi, inclusi quelli complessi. 6) Conoscenze elevate: capacità di confrontare e integrare informazioni dettagliate da testi complessi. Sotto il livello 1 si parla di analfabetismo totale. Il livello 3 è generalmente considerato il minimo necessario per partecipare pienamente alla vita sociale, economica e lavorativa.

Vediamo ora quanti sono gli analfabeti funzionali in Italia, calcolo non proprio facilissimo anche per gli esperti. Nel 2015, in Italia secondo il rapporto OCSE Pisa le cose stavano così: Il 20,9% della popolazione italiana tra i 16 e i 65 anni (circa 8 milioni di persone) non supera il livello 1. Il 25,4% (circa 9,9 milioni) raggiunge il livello 2. Il 5,1% (circa 2 milioni) raggiunge il livello 5. Solo lo 0,6% (circa 230.000) raggiunge il livello 6.

Albert Einstein diceva che “non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato”. Questo invece è uno di quei casi dove i numeri contano proprio perché possono essere contati. Se partiamo dall’assunto che per capire un minimo di politica e per andare a votare bisogna avere un grado di alfabetizzazione almeno pari al livello 3 dovremo concludere che poco meno di 18milioni di italiani (quelli che stanno nei livelli 1 e 2) sono esclusi di fatto dalla vita politica del nostro paese. Il che vuol dire anche che circa il 46,3% della popolazione tra i 16 e 65 anni non partecipa a questo fondamentale esercizio della nostra vita democratica e se vi partecipa è come minimo un voto poco consapevole. Aggiungiamo, per completezza, che quella pur ampia fetta di italiani che rientra nella fascia 3 (competenze sufficienti), andrà anche a votare ma è pur sempre dotata di scarsi strumenti culturali. Una debolezza che inevitabilmente li rende più vulnerabili rispetto alla crescente propaganda dei populisti.

Insomma, non sappiamo come questa tornata elettorale andrà a finire. Ma, come dicevamo, con la previsione quasi unanime dei sondaggisti di un voto europeo con scostamenti molto bassi, alla fine è molto probabile che tutti i partiti si proclameranno vincitori o comunque soddisfatti degli esiti. La solita piccola sceneggiata alla quale siamo ormai abituati. Quello che tuttavia possiamo dire sin da ora è che questo voto certificherà il permanere di una grave disfunzione. Saremo cioè costretti a constatare che la nostra democrazia è affetta da un grave virus chiamato ignoranza. Una triste indicazione che però, per fortuna, indica anche la soluzione. E’ infatti chiaro che per ritrovare gli elettori bisogna ricominciare dalle scuole e dalle università e che per ritrovare un consenso reale la politica deve tornare alla competenza e al merito. E’ una sfida improba per chiunque stia al potere. Ma è questa. “Quiete mortale invoco, vedendo il Merito a mendicare e la vuota Nullità gaiamente agghindata” (William Shakespeare).

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