Un mistero avvolge il destino del corpo di Aleksei Navalny, l’oppositore russo deceduto in carcere. L’obitorio dov’era previsto fosse custodito il corpo è risultato chiuso e gli avvocati di Navalny sono stati mandati via a mani vuote. Mentre si attendono i risultati delle indagini sulla causa della morte, l’accusa della portavoce di Navalny grava pesante: si tratterebbe di un omicidio politico

di Corinna Pindaro

L’obitorio di Salekhard doveva essere la destinazione finale del corpo di Aleksei Navalny, l’oppositore russo deceduto recentemente in custodia. L’avvocato di Navalny e sua madre sono arrivati sul posto per poi scoprire che l’obitorio era chiuso, nonostante le rassicurazioni ricevute dalla colonia penale che il corpo vi fosse stato trasportato.

La portavoce di Navalny, Kira Jarmysh, ha annunciato su twitter, “Il corpo di Aleksei non è all’obitorio”. Il dettaglio inquietante emerge nel contesto di un dramma più ampio: il sospetto che Navalny sia stato assassinato per ragioni politiche. La richiesta è che il corpo sia restituito alla famiglia al più presto.

In cerca di risposte, gli avvocati si sono rivolti al comitato investigativo di Salekhard, ma sono stati informati che la causa della morte di Navalny è ancora incerta e che un esame istologico aggiuntivo è in corso. I risultati di questo ulteriore esame dovrebbero essere resi noti la prossima settimana.

In parallelo, la madre dell’oppositore è stata informata che la morte sarebbe da attribuire a una “sindrome da morte improvvisa”, allo stesso tempo altre fonti all’interno del carcere hanno riferito di un’embolia. Attualmente, la causa ufficiale della morte rimane sconosciuta.

Attivisti per i diritti umani affermano che potrebbe essere necessario diversi giorni per recuperare il corpo di Navalny. Il deceduto, che aveva 47 anni ed aveva superato numerosi tentativi di assassinio in passato, era stato trasferito ben 27 volte dall’inizio della sua detenzione, trascorrendo un totale di 308 giorni in isolamento in varie prigioni, l’ultima delle quali una colonia dell’Artico che una volta era un gulag dell’era sovietica.

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